Col nuovo Codice della Strada i minori di 12 anni dovranno indossare il casco in bicicletta
Tra le novità che saranno introdotte col nuovo Codice della Strada ci sarà anche l'obbligo per i bambini al di sotto dei 12 anni di indossare il casco in bicicletta. Per chi propone la nuova norma si tratta di un provvedimento a tutela dei piccoli ciclisti. Per altri, invece, si tratta di un provvedimento poco utile, che non affronta la radice del problema, ovvero la velocità delle auto. Condividiamo con voi il parere del Dr. Donnarumma, neurochirurgo. L’articolo è già stato pubblicato da Bikeitalia.
Rimasi colpito nel leggere la fine di Eschilo, il grande poeta tragico della Grecia antica, avvenuta in Italia nel V secolo a.C. La leggenda narra di un trauma cranico dalla dinamica piuttosto singolare, ovvero la precipitazione dal cielo di un oggetto contundente, nella fattispecie…una tartaruga. L’Oracolo lo aveva avvisato che sarebbe morto per “qualcosa che cade dall’alto” ma non avrebbe immaginato che, mentre passeggiava per le strade della bellissima Siracusa, un'aquila che volteggiava nel cielo soprastante lasciasse cadere la preda che stringeva tra gli artigli. La tartaruga precipitò come un macigno sulla testa pelata del grande drammaturgo, il quale morì sul colpo.
Rileggendo questa vicenda con gli occhi di un contemporaneo ci verrebbe da chiedere: ma se Eschilo quel giorno avesse indossato una protezione per esempio un casco, si sarebbe salvato?
La risposta che ci verrebbe di getto sembrerebbe pleonastica. Il casco è uno strumento utile a proteggere il cranio da traumi e urti di ogni tipo, dalla caduta oggetti nei cantieri alle cadute e agli incidenti stradali. In questi giorni in Italia (e da molto tempo nel resto del mondo) si dibatte sull’utilizzo del casco in bicicletta, sulla sua obbligatorietà e sulla sua reale efficacia.
Un Neurochirurgo inglese ha definito “inutili” i caschi in bici in una intervista al The Telegraph (fonte: Cycle helmets are useless, says brain surgeon), ma è davvero così?
Analizzando i più recenti articoli presenti in letteratura scientifica viene fuori un quadro indicativo molto interessante.
Un lavoro del 2018 di un gruppo di ingegneri meccanici giapponesi intitolato Effectiveness of wearing a bicycle helmet for impacts against the front of a vehicle and the road surface conclude che indossare il casco in bicicletta riduce significativamente il numero di fratture della volta cranica per impatti frontali a 35 km/h contro un’automobile e a 20 km/h contro il manto stradale. Un gruppo di ingegneri americani invece, sempre nel 2018, ha pubblicato uno studio in cui poneva l’attenzione sulla forma e sulla tipologia dei caschi da bici, in particolare quelli “leggeri” che non proteggono accuratamente la zona temporale (Differences in Impact Performance of Bicycle Helmets During Oblique Impacts). Come è noto da secoli agli operatori sanitari, e in particolare a noi Neurochirurghi, la zona temporale è una parte molto delicata della scatola cranica ed è una delle più sensibili ai traumi laterali e obliqui, quelli cioè che più frequentemente si osservano negli incidenti stradali. Alcuni modelli di caschi per bici, quelli a forma di “scodella” per intenderci, non offrono alcuna protezione alla zona temporale. Lo studio conclude che, per migliorare la tenuta dei caschi nel contrastare gli impatti obliqui, è necessario migliorare i test anche sui margini dei caschi, di cui disponiamo di pochi dati.
È utile poi citare questo studio recentissimo del marzo 2019 in cui un gruppo di chirurghi Maxillo-Facciali in Germania ha evidenziato come, seppur il casco da bici sia utile nel prevenire le lesioni della volta cranica, non abbia alcuna efficacia nel prevenire i traumi del volto e dello scheletro facciale (Reality or wishful thinking: do bicycle helmets prevent facial injuries?).
Dopo questa prima revisione della letteratura recente ci viene quindi da fermarci e fare un primo ragionamento. Se i caschi progettati per andare in bicicletta hanno una discreta utilità nel prevenire i traumi della volta cranica, una non sempre efficacia nel prevenire i danni laterali e una assoluta inefficacia nel contrastare i traumi facciali, perché sono omologati in bicicletta nell’uso urbano? Non è forse contro le automobili e contro veicoli che vanno a velocità molto maggiore della bicicletta che avvengono la maggior parte (quasi totalità) dei traumi cranici in bici? Perché non vengono omologati dei caschi integrali come quelli che si usano in moto, che sono di gran lunga più efficaci?
Proseguendo nel ragionamento e nell’analisi della letteratura scientifica, si trova questo lavoro del 2017 di un gruppo di medici del Dipartimento di Emergenza di due grosse università statunitensi: Factors Influencing Injury Severity of Bicyclists Involved in Crashes with Motor Vehicles: Bike Lanes, Alcohol, Lighting, Speed, and Helmet Use.
I ricercatori concludono che i fattori che sono maggiormente correlati con i traumi cranici dei ciclisti sono: 1: la velocità dell’automobile; 2: il consumo di alcol da parte dell’autista; 3: le condizioni di illuminazione. Questi tre fattori sono decisamente più responsabili della gravità dei traumi cranici rispetto all’utilizzo della pista ciclabile e, controintuitivamente, dell’uso del casco.
Nella mia esperienza di oltre 10 anni di Neurochirurgo e Neurotraumatologo posso confermare che il maggiore responsabile di gravi lesioni in caso di incidenti stradali è sempre la velocità. Detto in breve, non ricordo di aver mai visto sotto i ferri per emorragia cerebrale un paziente coinvolto in un incidente a bassa velocità. Mai. Mentre mi è capitato qualche volta di operare per emorragia pazienti che indossavano il casco, coinvolti loro malgrado in bruttissimi incidenti di cui, spesso, non avevano alcuna responsabilità.
Il casco, anche quello della migliore manifattura, integrale, infrangibile può salvare la vita, ma non sempre o meglio, non in tutti i casi. Quando la velocità e eccessiva l’energia cinetica che si scarica sull’encefalo può produrre dei danni cerebrali anche irreversibili in assenza di fratture o emorragia (Danno assonale diffuso), senza considerare le lesioni cervicali e della giunzione cranio cervicale, che possono essere mortali anche in presenza del casco (e su questo punto ho ancora davanti agli occhi il terribile incidente che costò la vita in moto allo straordinario Marco Simoncelli). Questo detto senza prendere in considerazione altri tipi di danni, potenzialmente mortali o potenzialmente invalidanti (emorragie addominali, fratture vertebrali e degli arti, lesioni vascolari, lesioni polmonari ecc.).
La maggior parte dei traumi cranici gravi in bicicletta avviene per investimento da parte di una automobile (fonte: Epidemiology and Risk Factors for Bicycle-Related Severe Head Injury: A Single Center Experience). Qualche Stato ha cominciato a pensare che, aumentando il numero di biciclette, e soprattutto destinando il traffico e la strada al solo utilizzo della bicicletta, si possa ridurre sensibilmente il numero di traumi cranici e la loro gravità. Questo è il modello adottato in primis dalla città di New York, chiamato “safety in numbers”, e seguito da moltissime città del nord Europa, capitanate da Copenaghen e Amsterdam. Aumentando il numero di ciclisti aumenta la loro sicurezza. L’obiettivo è quello di mettere in sella più persone possibili. Gli effetti sono benefici per tutti: per il ciclista che riduce il suo rischio cardiovascolare (nonostante l’inquinamento - fonte Effects of Leisure-Time and Transport-Related Physical Activities on the Risk of Incident and Recurrent Myocardial Infarction and Interaction With Traffic-Related Air Pollution: A Cohort Study), per le emissioni di CO2, per la qualità di vita delle nostre città, per il traffico di automobili sulle nostre strade, per la riduzione di tutti i tipi di incidenti stradali.
Il casco quindi, essendo uno strumento di protezione, deve essere consigliato ai ciclisti, soprattutto ai bambini, agli anziani e ai soggetti più a rischio. Un casco che sia opportunamente protettivo, sicuro, di qualità e ben allacciato può salvare la vita in caso di incidente. Sulla sua obbligatorietà invece si deve discutere, in quanto è stato più volte notato che funge da deterrente all’utilizzo della bicicletta, in opposizione al concetto del “safety in numbers”. Se si vogliono mettere in sicurezza i ciclisti le misure più efficaci da prendere in considerazione sono:
C’è poi da considerare un’ultima evidenza clinica. La maggior parte dei traumi cranici negli incidenti stradali non avvengono a discapito degli utenti delle due ruote, ma per i pedoni e per gli automobilisti. Seppure anche questo aspetto non sia molto intuitivo, si deve constatare che la maggior parte delle emorragie cerebrali traumatiche che vengono sottoposte a intervento chirurgico sono causate da investimento di pedoni oppure da collisione tra due veicoli. Circa il 48% degli interventi chirurgici per trauma cranico sono da imputare alla velocità delle automobili e al loro effetto distruttivo. Come rilevato dall’Osservatorio Nazionale Ambiente e Traumi (ONAT), inoltre, in Italia la causa più importante di trauma cranico è la caduta accidentale in ambiente domestico, soprattutto in casa e soprattutto per gli anziani, che si attesta attorno al 33% del totale (fonte: Inquadramento del trauma cranico e cenni di terapia medica e chirurgica).
Se i traumi cranici sono così frequenti tra gli anziani che stanno a casa, se sono così frequenti tra i pedoni e tra gli automobilisti, non dovrebbe essere consigliato o (provocatoriamente) reso obbligatorio l’utilizzo del casco anche da parte di questi soggetti “a rischio”?
In conclusione torniamo alla vicenda del nostro Eschilo. L’Oracolo lo aveva avvisato, qualcosa lo avrebbe colpito in testa! Come ci saremmo comportati se fosse vissuto ai giorni nostri, cosa avremmo fatto? Gli avremmo suggerito di indossare il casco sempre… anche per una passeggiata?
Articolo scritto dal Dr. Pasquale Donnarumma e pubblicato da Bikeitalia.
Fonti: Matsui Y, Oikawa S, Hosokawa N. Effectiveness of wearing a bicycle helmet for impacts against the front of a vehicle and the road surface. Traffic Inj Prev. 2018;19(7):773-777. doi: 10.1080/15389588.2018.1498089. Epub 2018 Oct 23.
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Fernanda Tagliaferri, Christian Compagnone e Franco Servadei, “Inquadramento del trauma cranico e cenni di terapia medica e chirurgica“, in Salute e Sicurezza Stradale: l'Onda Lunga del Trauma, a cura di Franco Taggi e Pietro Marturano, C.A.F.I. Editore, Roma, 2007, pp. 281-292