Pubblicato sullo European Journal of Clinical Investigation, lo studio ha visto impegnati ricercatori di diversi dipartimenti dell’Università Statale di Milano: Massimiliano Ruscica, docente del dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari, Valentina Bollati, docente del dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità, Marco Vicenzi, ricercatore del dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità e Francesco Blasi, docente del dipartimento di Fisiopatologia Medico-Chirurgica e dei Trapianti. I risultati sono stati ottenuti analizzando una popolazione di 118 soggetti affetti da infezione da SARS-CoV-2 (diagnosticata attraverso tampone molecolare) che sono stati ricoverati tra febbraio e giugno 2020 presso l’Ospedale Policlinico di Milano, in particolare nell’Unità Cardiorespiratoria diretta dal professor Blasi.
“In base ai numerosi ma disomogenei dati di letteratura emersi durante gli ultimi 12 mesi e in mancanza di parametri oggettivi chiari nel definire il rischio clinico di mortalità intra-ospedaliera – spiegano i ricercatori -, abbiamo condotto un’analisi su una serie di biomarcatori circolanti che fossero lo specchio di un danno cardiovascolare e multiorgano indotto da COVID-19”.
Lo studio, insieme ai parametri vitali e cardiorespiratori, ha preso in esame l’impatto della tempesta citochinica/infiammatoria, dell’alterazione endoteliale così come dello stato di iperlipidemia. Inoltre l’analisi ha tenuto conto di fattori come l’età, l’obesità, il diabete, l’ipertensione.
Tra i parametri considerati, l’età insieme ad altri tre biomarcatori circolanti, facilmente dosabili in poche ore (interleuchina-6, il pro-peptide natriuretico terminale di tipo B (NT-proBNP) e la lattato deidrogenasi), si sono dimostrati predittori di mortalità intra-ospedaliera in una popolazione di pazienti che presentava un’insufficienza respiratoria Covid-19 di grado moderato-severo.
“I nostri dati – spiegano ancora gli autori dello studio - sono coerenti con quelli riportati in letteratura e forniscono nuovi spunti sul ruolo dell’infiammazione e del coinvolgimeno di un danno multiorgano. Basandoci su valori soglia ottimali di questi tre parametri (interleuchina-6, NT-proBNP e lattato deidrogenasi), in aggiunta ad un’età superiore ai 70 anni, è stato costruito un punteggio di severità in base al quale il rischio di decesso aumentava di tre volte quando i pazienti presentavano due parametri oltre il limite soglia. I risultati del nostro studio, derivanti da una proficua collaborazione interdipartimentale, permettono di stratificare i soggetti COVID-19 ad alto rischio di mortalità fin dall’ammisione in ospedale. Inoltre, aggiungono evidenze cliniche e patofisiologiche sui meccanismi di progressione della malattia COVID-19 che risulta sempre più una patologia multiorgano caratterizzata da un ruolo determinante del sistema cardiovascolare”.
Fonte: Comunicato stampa. COVID-19: studio della Statale sul rischio di mortalità in ospedale. Università Statale di Milano. 29/06/2021