L’esperimento ZePrion Logo of esanum https://www.esanum.de

L’esperimento ZePrion

Lanciato verso la Stazione Spaziale Internazionale l’esperimento Zeprion, che avrà il compito di confermare il meccanismo molecolare alla base di un innovativo protocollo farmaceutico per contrastare le malattie da prioni.

In orbita per sviluppare nuovi farmaci

Un laboratorio biochimico in miniatura arrivato lo scorso 4 agosto sulla  Stazione Spaziale Internazionale (ISS), potrebbe portare ad una validazione del meccanismo di funzionamento di un protocollo del tutto innovativo per lo sviluppo di nuovi farmaci contro gravi malattie neurodegenerative e non solo. Frutto di una collaborazione internazionale che coinvolge diversi istituti accademici, anche italiani, e l’azienda israeliana SpacePharma, supportato da Fondazione Telethon, l’esperimento ZePrion è decollato con la missione spaziale robotica di rifornimento NG-19 dalla base di Wallops Island, in Virginia (USA). ZePrion si propone di sfruttare le condizioni di microgravità presenti in orbita per verificare la possibilità di indurre la distruzione di specifiche proteine nella cellula, interferendo con il loro naturale meccanismo di ripiegamento (folding proteico).  
Il successo dell’esperimento ZePrion fornirebbe un possibile modo per confermare il meccanismo molecolare alla base di una nuova tecnologia di ricerca farmacologica denominata Pharmacological Protein Inactivation by Folding Intermediate Targeting (PPI-FIT), sviluppata da due ricercatori delle Università Milano-Bicocca e di Trento e dell’INFN. L’approccio PPI-FIT si basa sull’identificazione di piccole molecole (dette ligandi), in grado di unirsi alla proteina che costituisce il bersaglio farmacologico durante il suo processo di ripiegamento spontaneo, evitando così che questa raggiunga la sua forma finale. La capacità di bloccare il ripiegamento di specifiche proteine coinvolte in processi patologici aprirebbe la strada allo sviluppo di nuove terapie per malattie attualmente incurabili.

Logo_Zeprion.jpg
Logo ZePrion

Il protocollo PPI-FIT

Mentre la farmacologia tradizionale agisce sulle proteine quando questo ripiegamento è ultimato, il protocollo PPI-FIT consente di intervenire prima che il folding si compia, dunque prima che le proteine abbiano preso forma.
L'idea alla base di questo schema è quella di cercare piccole molecole in grado di legarsi a tasche presenti solo negli intermedi di ripiegamento transitori, cioè prima che la catena raggiunga il suo stato nativo. In questo modo la proteina non può procedere lungo il percorso di ripiegamento e rimane bloccata nel suo intermedio. Le cellule sono dotate di un meccanismo di controllo della qualità che consente loro di riconoscere ed eliminare in modo efficiente le proteine ripiegate parzialmente o in modo errato. Pertanto, interrompendo il processo di ripiegamento, è possibile indurre la degradazione cellulare della proteina bersaglio. Questo approccio può essere applicato praticamente a qualsiasi bersaglio, ma è particolarmente utile per le proteine che non possono essere distrutte con il metodo convenzionale.
L'approccio PPI-FIT è stato validato per la prima volta sulla proteina prionica cellulare umana (qui indicata come PrPc). Questa catena polipeptidica rappresenta il substrato degli agenti infettivi chiamati prioni, che consistono in aggregati tossici di proteine prioniche mal ripiegate, indicate come PrPsc. I prioni sono responsabili di diverse malattie neurodegenerative invariabilmente letali, tra cui il famigerato morbo della mucca pazza. Come tutte le patologie da misfolding, le malattie legate ai prioni non possono essere trattate con i metodi convenzionali. D'altra parte, riducendo la concentrazione di PrPc nelle cellule, è in linea di principio possibile ostacolare la crescita e il conseguente accumulo di aggregati tossici di PrPsc, ostacolando così efficacemente l'infezione da prioni.

Trovare risposte nello spazio

Un tassello finora mancante per la validazione della tecnologia è la possibilità di ottenere un’immagine ad alta risoluzione del legame tra le piccole molecole terapeutiche e le forme intermedie delle proteine bersaglio (quelle che si manifestano durante il ripiegamento), in grado di confermare in maniera definitiva l’interruzione del processo di ripiegamento stesso. In genere, questo tipo di immagine viene ottenuta analizzando, con una tecnica chiamata cristallografia a raggi X. cristalli formati dal complesso ligando-proteina. Nel caso degli intermedi proteici, però, gli esperimenti necessari non sono realizzabili all’interno dei laboratori sulla Terra, in quanto la gravità genera effetti che interferiscono con la formazione dei cristalli dei corpuscoli composti da ligando e proteina, quando questa non abbia ancora raggiunto la sua forma definitiva. Questo ha spinto le ricercatrici e i ricercatori della collaborazione ZePrion a sfruttare la condizione di microgravità che la Stazione Spaziale Internazionale mette a disposizione.  
Diversi studi recenti hanno evidenziato i notevoli vantaggi della cristallizzazione delle proteine in condizioni di microgravità. Ciò è dovuto principalmente all'assenza di moti convettivi, che sulla Terra possono interferire con la formazione di cristalli ordinati.
Tuttavia, finora nessun esperimento ha provato a generare cristalli di complessi proteina-ligando in cui la proteina non si trovi in uno stato definitivo. Questi cristalli potranno poi essere analizzati utilizzando la radiazione X prodotta con acceleratori di particelle, per fornire una fotografia tridimensionale del complesso con un dettaglio di risoluzione atomico. Campioni non cristallini ottenuti alla SSI verranno inoltre analizzati per Cryo-microscopia Elettronica di trasmissione (Cryo/EM)
In questo esperimento, le condizioni di caduta libera che si realizzano in orbita saranno sfruttate per tentare la cristallizzazione della proteina PrPc, in complesso con SM875, la piccola molecola scoperta con l'approccio PPI-FIT. La proteina verrà prima fusa e poi lasciata ripiegare in presenza della piccola molecola, che dovrebbe quindi bloccare il processo di ripiegamento legandosi al suo intermedio di ripiegamento.
L’esperimento ZePrion, lavorerà in modo specifico sulla proteina prionica, balzata tristemente agli onori della cronaca negli anni Novanta durante la crisi del “morbo della mucca pazza”. Questa malattia è infatti causata da una forma alterata della proteina prionica chiamata prione, coinvolta in gravi malattie neurodegenerative dette appunto “da prioni” tra le quali la malattia di Creutzfeld-Jakob o l’insonnia fatale familiare.  

Nuove prospettive per lo sviluppo dei farmaci

ZePrion si compone di un vero e proprio laboratorio biochimico in miniatura (lab-in-a-box) realizzato da SpacePharma, che opererà a bordo della Stazione Spaziale Internazionale e verrà controllato da remoto.
L'apparato sperimentale consiste in un laboratorio di biologia molecolare miniaturizzato che può essere gestito dalla Terra ed è stato sviluppato dall'azienda israeliana Space Pharma. Dopo l'esperimento, i campioni saranno riportati a Terra e caratterizzati strutturalmente. Se questa analisi confermerà la formazione di un buon cristallo, il campione sarà inviato a un laboratorio di sincrotrone per essere analizzato con i raggi X. Se questo ambizioso esperimento dovesse avere successo, aprirebbe una strada completamente nuova per la ricerca farmacologica nello spazio.

Strumento_credits_SpacePharm..
Lo strumento (photocredit: SpacePharma)


 

Fonti:
Comunicato stampa. Zeprion: in orbita per sviluppare nuovi farmaci. Consiglio Nazionale delle Ricerche. 02 agosto 2023
Faccioli P. From quarks to drugs: a journey in technology transfer. Il nuovo saggiatore. VOL. 37, ANNO 2021, NO. 3-4.