Nicolas Peschanski è professore di medicina d'urgenza e medico all'ospedale universitario di Rennes (Francia). La sua carriera internazionale, in particolare la sua esperienza negli Stati Uniti, gli ha permesso di diventare membro della Commissione internazionale dell'American College of Emergency Physicians e del comitato direttivo dell'EMCREG-International (Emergency Medicine Cardiac Research and Education Group). È anche membro della European Society for Emergency Medicine (Eusem).
Il Prof. Peschanski è un sostenitore della filosofia e dei principi alla base della FOAMed (Free Open Access Medical Education). Usa i social network (@DocNikko) per scopi educativi e di condivisione delle conoscenze in medicina d'urgenza.
Questa testimonianza è stata originariamente pubblicata su Twitter. Il professor Peschanski, che gestisce il blog dedicato alla medicina d'urgenza su esanum.fr , ha accettato che la traducessimo e la divulgassimo.
Nepal, 1998, in piena stagione dei monsoni. Sono un medico dell'ambasciata francese, arruolato per svolgere il servizio militare. Piuttosto che passare dodici mesi in una caserma, ho scelto di fare un servizio più lungo, distaccato al Ministero degli Affari Esteri.
Ricevo un allarme dall'esercito nepalese, che ha avuto una richiesta di aiuto da una famiglia francese. Facevano trekking in una regione remota dell'Himalaya nepalese, il magnifico Dolpo, l'unica regione dell'Himalaya nepalese accessibile in questo periodo dell'anno, ma molto isolata. I miei compiti comprendono l'organizzazione e l'assistenza medica in montagna per i cittadini francesi.
Le informazioni sono poche, ma la situazione è abbastanza grave - sembra che ci sia un morto - tanto che il console francese mi autorizza a intraprendere una missione di ricerca con un elicottero dell'esercito nepalese. Devo precisare che i fondi dell'ambasciata francese mi permettono di anticipare le spese di ricerca e di salvataggio, che salgono al ritmo di 1.000 dollari per ogni ora di volo. Firmo quindi una garanzia di 5.000 dollari, con l'accordo del console.
Alla fine, cerchiamo questa famiglia per 37 ore, distribuite su quattro giorni. È la stagione dei monsoni, e quando una valle è coperta da nuvole e si è circondati da cime di oltre 8.000 metri di altezza, non si può certo volare a caso. L'unica soluzione è atterrare e aspettare che il cielo si schiarisca. Per fortuna non ci fanno pagare subito i 37.000 dollari, non ho tutti questi soldi.
Si tratta di una famiglia di cinque persone: padre, madre e tre bambini di 11, 7 e 3 anni. Per il più piccolo è troppo tardi. È il suo corpicino morto, tutto grigio, quello che trovo. Non c'è niente da fare, è morto già da diverse ore purtroppo. Chiedo ai genitori. Mi dicono che il loro piccolo aveva la febbre e una tosse che è andata peggiorando sempre di più, prima di evolvere, tre notti prima, in uno stato di asfissia. Li esamino uno dopo l'altro: hanno tutti la difterite in forma grave (croup)! Lo stesso vale per il cadavere. Una cosa che avevo visto solo sui libri, fortunatamente riletti prima di prendere servizio in Nepal perché sapevo che qui a difterite non era scomparsa (circa 500 casi all'anno).
Riprendo con le domande. I genitori sono convinti no-vax e non hanno alcun rimorso per la morte del figlio. Non rimpiangono nulla perché "è il destino".
Sono un giovane medico, dentro di me sto cadendo a pezzi. Faccio il resto del mio lavoro, li tratto senza alcun giudizio. Prima mi occupo dei due bambini - ho solo due fiale da 500 mg di AUGMENTIN [un antibiotico = amoxicillina + acido clavulanico] nella mia borsa di pronto soccorso. Per i genitori, dovrò aspettare il loro trasferimento a Kathmandu. Noleggiamo un secondo elicottero e vi atterriamo dopo più di quattro ore di volo (una valle bloccata dalle nuvole, atterrare, aspettare, decollare di nuovo, ricominciare...).
Porto tutti all'unico ospedale universitario del Paese per un controllo e l'inizio della cura con antibiotici. Fortunatamente, non ci sono danni gravi. I due bambini rimangono sotto osservazione e i genitori sono isolati in un hotel. Quanto a me, torno all'ambasciata per compilare la dichiarazione obbligatoria e sbrigare le altre formalità amministrative. Ci passo quasi tutta la notte. Sono le 6 del mattino a Parigi, ma posso parlare con il personale del Ministero della Salute di turno. Decidiamo un isolamento di sette giorni per la famiglia prima di organizzarne il rimpatrio.
Devo anche organizzare il rimpatrio del corpo del bambino in una bara ermetica, il che è essenziale a causa del rischio di infezione. Pochi lo sanno, ma è complicato rimpatriare un cadavere. E costa un sacco di soldi, circa 200.000 franchi all'epoca [tenendo conto dell'inflazione, questo rappresenterebbe circa 41.000 euro oggi]. La famiglia è di nuovo insieme. Fisicamente stanno bene. Ma i bambini sono disorientati. A poco a poco capiscono che hanno perso il loro fratellino.
Il padre tace. Quando riesco a tirargli fuori qualche parola, non esprime alcun rimorso. Sua moglie mi prende da parte e mi dice: "Se avessi saputo...". Vengo a sapere che, per viaggiare, si sono procurati falsi certificati vaccinali DTP [vaccino polivalente che contiene quello contro la difterite].
Fortunatamente per le finanze dell'ambasciata francese, la loro assicurazione copre tutte le spese sostenute e il rimpatrio della famiglia e del corpo. In effetti, la difterite, che è stata debellata in Francia, non appare nelle clausole di esclusione del contratto. Sono le 6 di sabato mattina sulla pista dell'aeroporto Tribhuvan di Kathmandu. Arrivo con la famiglia e li faccio salire sull’aereo prima di tutti gli altri viaggiatori. Anche se non sarebbe necessario - sono considerati guariti e non contagiosi - indossano mascherine chirurgiche per il viaggio. La compagnia aerea accetta consapevolmente di farli viaggiare così e non ha posto alcun ostacolo.
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Questa triste storia potrebbe finire qui, invece otto giorni dopo riceviamo una chiamata dal capo dello staff di Hubert Védrine, ministro degli affari esteri. Il Quotidien du Médecin [la principale rivista medica francese] ci accusa di aver reintrodotto la difterite in Francia, di cui non si vedono casi dal 1990!
L'articolo ci getta fango addosso, ci accusa di non aver preso precauzioni e dice che la famiglia è arrivata all'aeroporto Charles De Gaulle di Parigi non in isolamento. Sono direttamente coinvolto. I miei parenti sono a 8.000 chilometri di distanza, sono un giovane professionista... Ho difficoltà a gestire queste accuse. Per fortuna, ho l'appoggio della mia gerarchia, sia civile - l'ambasciatore, il console e il Ministero degli Affari Esteri - che militare. Il comandante di zona, con sede a Nuova Delhi, mi dà ufficialmente il suo sostegno.
L'ambasciatore ottiene il diritto di replica, che viene pubblicato tre o quattro giorni dopo, ma le conseguenze di questo articolo si fanno già sentire. Il Cnom [Conseil national de l'Ordre des médecins, l'organismo che regola la professione medica] ci chiede una relazione sull’accaduto. La stampa ha i fari puntati sulla vicenda, l'Institut de Veille Sanitaire [l'agenzia francese responsabile dei rischi sanitari all'epoca] ci chiede ulteriori spiegazioni, anche se già fornite.
Diamo al Quotidien du Médecin i dettagli sulle procedure adottate attraverso l'intermediario del console, senza tradire il segreto professionale. Contemporaneamente conduciamo la nostra indagine e scopriamo che all'arrivo a Parigi, la famiglia non indossava mascherine ed era sbarcata insieme agli altri passeggeri. La famiglia era rimasta isolata con le mascherine solo sul volo Kathmandu-Bangkok, ma poi allo scalo nessun sanitario si è preoccupato di gestire la cosa. Sottolineo comunque che i membri della famiglia erano considerati guariti. Alla fine la redazione del Quotidien du médecin e il Cnom riconoscono che non ho colpe, ma non ricevo nessuna telefonata, nessuna scusa, nessun sostegno.
Sono passati più di ventitré anni.
Ancora non capisco. Non ho trovato il significato di tutto questo.
Perché usare un falso certificato vaccinale?
Perché non approfittare di un trattamento preventivo con un’efficacia di poco inferiore al 100%?
Perché accettare di perdere il proprio figlio?
Non riesco proprio a sopportarlo.
Oggi, durante la pandemia di COVID-19, questo episodio incomprensibile mi torna alla mente. Con il pretesto che il vaccino sia causa di tutti i mali possibili, si lascia spazio alla paura, che può essere legittima, poi alla rabbia, che non lo è, poi alla violenza, che è inaccettabile. Quindi il Maestro Yoda aveva ragione: questa è la ricetta perfetta per cadere dal lato oscuro della Forza, una Forza che è ancora più potente quando ci sono di mezzo i politici e gli "scienziati" proclamano le loro pseudo-certezze sulla pubblica piazza, rifiutando qualsiasi dibattito.
La COVID-19 non è un'influenza. Il virus muta, è nella sua natura, e questo ci obbliga a rimanere umili e vigili. I vaccini, sviluppati in tempo record, ma con tutti i passaggi necessari, sono efficaci a livello individuale - soprattutto nei più fragili - e a livello collettivo.
Sono sempre trasparente riguardo i miei rapporti passati e presenti con l'industria nel campo della ricerca clinica e di base. Non ho legami con i produttori di vaccini o di anticorpi monoclonali. Come tutti gli operatori sanitari che sono stati e sono ancora in prima linea per contrastare la pandemia di COVID-19, non ho guadagnato nulla negli ultimi 18 mesi, se non facendo turni extra. Non ho nemmeno ricevuto il bonus "Covid" perché sono arrivato nel mio attuale ospedale durante la prima ondata [questo bonus pagato dal governo francese ai sanitari, che va da 500 a 1.500 euro, è stato pagato solo a quelli presenti nel loro dipartimento per almeno trenta giorni tra il 1° marzo e il 30 aprile 2020].
Vorrei solo dire ai no-vax: continuo a non capirvi e, in tempi di pandemia, non vi scuso. Ma come medico vi curerò senza giudicarvi. Tuttavia, non accetterò nessuna critica, nessuna lamentela che non sia quella della vostra malattia. Per il resto, vi lascio prendere atto da soli di ciò che avete causato e delle vostre motivazioni.
Fino ad oggi, avevo raccontato questa storia solo a poche persone a me care e ad alcuni colleghi che hanno lavorato nei paesi in via di sviluppo. Oggi, quando il Terzo mondo ha bisogno del vaccino più che mai, ripeto: essere no-vax è un privilegio dei ricchi.
Vaccinatevi.