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La sepsi nel paziente con cirrosi epatica

La sepsi nei pazienti con cirrosi epatica è associata ad elevata mortalità. L’ottimale management di questi pazienti non è stato stabilito, di solito vengono trattati sulla base di linee guida generali. Una recente review pubblicata su Hepatology propone un approccio alla sepsi per questa specifica categoria di pazienti.

Una recente review propone delle linee guida specifiche per questa tipologia di pazienti

La sepsi nei pazienti con cirrosi epatica è associata ad elevata mortalità.  L’ottimale management di questi pazienti non è stato stabilito, generalmente vengono trattati sulla base di linee guida valide per pazienti non cirrotici. Nonostante l’assenza di evidenze forti, una recente review pubblicata su Hepatology propone un approccio alla sepsi per questa specifica categoria di pazienti.

La sepsi è definita come una disfunzione d’organo con pericolo per la vita causata da una inappropriata risposta dell’ospite all’infezione. Si tratta di una delle sindromi cliniche su cui c’è maggiore interesse a livello mondiale, soprattutto perché incidenza e mortalità sono in aumento costante. I dati relativi all’andamento epidemiologico evidenziano un’incidenza nell’Unione Europea di circa 90 casi per 100.000 abitanti/anno, con una stima di 1,4 milioni di casi di sepsi l’anno e con un tasso di mortalità che oscilla, a seconda delle aree interessate, tra il 20 e il 40%.

Nei pazienti con cirrosi epatica l’insorgenza della sepsi si associa ad elevata mortalità. La sepsi nel paziente cirrotico è infatti particolarmente insidiosa:  mentre da un lato l’immunodepressione correlata alla malattia rende i pazienti cirrotici a maggior rischio infettivo, dall’altro i segni emodinamici e sistemici suggestivi di sepsi possono essere visti anche in assenza di infezione, ritardando così la diagnosi.
Le caratteristiche proprie della malattia, come la ridotta conta dei globuli bianchi per ipersplenismo, la tachicardia, l’iperventilazione e la confusione mentale dovute all’encefalopatia epatica rendono difficile la diagnosi differenziale, ritardando così la somministrazione dei bundles di terapia (volume, antibiotico e vasopressori), la cui applicazione precoce è fondamentale.
Le alterazioni anatomiche e funzionali proprie della malattia (ad esempio l’ipertensione endoaddominale per ascite) rendono più complesso anche il monitoraggio emodinamico, inficiando parametri spesso impiegati a tale scopo quali la PVC o la collassabilità della vena cava. L’iperlattacidemia può essere presente anche in assenza di sepsi. Un gruppo di esperti raccomanda un monitoraggio emodinamico mediante catetere venoso centrale, linea arteriosa ed eventuale catetere arterioso polmonare, in particolare in quei pazienti con insufficienza ventricolare destra o sospetta ipertensione polmonare. La noradrenalina rimane il vasocostrittore di scelta, ma sembra esserci un miglioramento dell’outcome se associata a vasopressina, che mobilizza la riserva splancnica.

Un ruolo importante riveste infine l’albumina: recenti studi sull’impiego di tale proteina nella sepsi non sono specifici per i pazienti cirrotici, nei quali una cronica ipoalbuminemia è da tenere in considerazione.

 

Fonti: Simonetto DA, Piccolo Serafim L, Gallo de Moraes A, Gajic O, Kamath PS. Management of Sepsis in Patients with Cirrhosis: current evidence and practical approach. Hepatology. 2018 Dec 5. doi: 10.1002/hep.30412
Nadim MK, Durand F, Kellum JA, et al. Management of the critically ill patient with cirrhosis: A multidisciplinary perspective. Journal of hepatology. 2016;64(3):717-735