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Neurologia e COVID-19

Abbiamo incontrato il Prof. Bassetti, direttore dell’unità di neurologia all’Inselspital. Ci ha raccontato della sua esperienza durante la COVID-19, delle conoscenze attuali sulla malattia in ambito neurologico e della realizzazione dell'Ean NEuro-covid ReGistrY (ENERGY).

Intervista al Prof. Claudio Bassetti, Presidente della European Academy of Neurology

Abbiamo incontrato il Prof. Bassetti dell’Università di Berna, direttore dell’unità di neurologia all’Inselspital. Ci ha raccontato della sua esperienza ospedaliera durante la COVID-19, delle conoscenze attuali sulla malattia per quel che riguarda le manifestazioni cliniche di interesse neurologico e della realizzazione dell'Ean NEuro-covid ReGistrY (ENERGY).

Quale impatto ha avuto la pandemia di COVID-19 sulle attività cliniche dell'ospedale in cui lavora e, in particolare, sulla sua attività?

Io lavoro all’Inselspital di Berna, il più grande ospedale svizzero, che fonde la clinica universitaria con le altre cliniche pubbliche presenti in città. Il risultato è un grande centro con due importanti caratteristiche: da una parte l’ospedale è presente in modo capillare su tutto il territorio, rimanendo molto vicino al cittadino soprattutto grazie alle cliniche più periferiche, dall’altra l’ospedale dispone di tutti i servizi specialistici, distribuiti su diversi siti. Nonostante le dimensioni e l’estensione territoriale, il nostro ospedale è stato relativamente risparmiato dall’ondata del nuovo coronavirus. Probabilmente perché Berna, pur essendo la capitale, presenta una situazione demografica particolare. Infatti, rispetto a Basilea, Ginevra, al Ticino, è molto meno esposta ai flussi dei viaggiatori esteri. I primi casi di COVID-19 qui in Svizzera sono stati registrati infatti  in Ticino, poi ci sono stati focolai epidemici importanti a Losanna, Ginevra, Basilea. Invece Zurigo e Berna sono state colpite meno duramente.
Per fortuna noi a Berna non siamo stati investiti da un afflusso ingestibile di pazienti con sintomatologia di COVID-19.  Alcune regioni della Svizzera, in primis il Ticino, hanno fatto un po’ da apripista e altre le hanno seguito, con maggiore tempo a disposizione per prepararsi all’emergenza. Tuttavia l’impatto della pandemia sulla quotidianità è stato molto forte, meno legato ai casi di infezione di cui ci siamo occupati, alcuni anche drammatici, ma più a tutte quelle misure che sono state gravi e per certi versi uniche: interventi chirurgici annullati, visite ambulatoriali rimandate, ad esempio.
La nostra attività quindi si è concentrata soprattutto sulla preparazione alla gestione dell’emergenza sanitaria. Lo staff dirigenziale di cui faccio parte ha lavorato per rendere pronto l’ospedale a gestire la pandemia. Abbiamo adottato diverse misure che hanno stravolto la quotidianità dell’ospedale.
Tra le prime, abbiamo attivato il turnover del personale. Per avere una riserva di operatori sanitari sani, abbiamo deciso di ridurre il numero di medici ed infermieri impegnati quotidianamente, lasciandone una parte a casa preservandola da eventuali contagi. Questo ha avuto l’effetto di aumentare il carico di lavoro per chi si trovava in ospedale, con tutte le conseguenze del caso ovviamente.
Parlando della nostra quotidianità ospedaliera in epoca COVID-19, questa è stata stravolta, avendo interrotto molte attività di routine per focalizzare le risorse sulla pandemia di COVID-19. Alcuni reparti, ad esempio quelli di dermatologia e di reumatologia, sono stati chiusi. Il nostro ha continuato a funzionare, anche se in modalità ridotta. Parliamo di un’unità di neurologia molto grande, dove abitualmente lavorano circa 500 collaboratori, di cui un centinaio sono medici neurologi. Durante la pandemia abbiamo sofferto una diminuzione della casistica d'urgenza di circa il 20% e di quella ambulatoriale di più del 50%. E quest’ultima sarebbe diminuita ancora di più se non avessimo attivato servizi di telemedicina per la gestione di alcuni pazienti.
Altro aspetto rilevante della nostra esperienza, comune a quella di altri ospedali, è che durante la pandemia, frequentemente, i medici si sono trovati a gestire pazienti non afferenti alla loro specialità. Abbiamo creato team medici dedicati alle urgenze e alla gestione globale degli afflussi di pazienti composti non solo da specialisti dell’urgenza, ma dai medici che avevamo a disposizione. Di questo aspetto ho proprio parlato recentemente col Presidente della Società Americana di Neurologia e stiamo lavorando ad una presa di posizione ufficiale per una rivalutazione della figura del neurologo generale. Siamo dell’idea che vada fatta qualche riflessione sugli effetti, non sempre positivi, dell’ultra-specializzazione.

A suo parere il sistema sanitario svizzero era preparato ad un’emergenza di questo tipo e di questa grandezza?

Probabilmente no, non eravamo preparati. Parlo non solo del sistema sanitario, ma anche di quello governativo, della comunicazione e dei vari ambiti che la pandemia ha toccato. Sicuramente si dovranno fare diverse riflessioni per migliorare e per trovarci pronti qualora dovesse ripresentarsi uno scenario simile a quello vissuto nei mesi scorsi.
Tuttavia, in generale, la Svizzera ha reagito molto bene all’emergenza. Con qualche problema, ad esempio nella disponibilità dei dispositivi di protezione individuale, ma la risposta globale è stata efficace.
Un problema cronico della Svizzera, come è facile prevedere in un paese federale, è la disomogeneità delle realtà regionali. L’autonomia cantonale a volte cozzava con le decisioni federali, creando confusione, banalmente sulla questione delle mascherine, che in alcune zone erano obbligatorie in altre no.
Un aspetto positivo che secondo me va sottolineato è il grande aiuto dato al sistema sanitario dalla coscienza civica dei cittadini svizzeri, capaci di comportamenti responsabili senza necessità di imposizioni e divieti. Qui non ci sono state le misure draconiane adottate in Cina e, in parte, anche in Italia. Sono state emanate raccomandazioni molto rigorose, ma è stata lasciata molta libertà al singolo. Tuttavia si è riusciti a contenere la diffusione del contagio all’interno della comunità.

Nel vostro istituto avete fatto ricorso alla telemedicina. È una tecnologia che usate abitualmente o si è trattato di una novità per il vostro centro?

La telemedicina è un argomento di cui si parla spesso, ma in generale devo riconoscere che non la usiamo abitualmente. Durante la pandemia siamo riusciti a fare alcune consultazioni usando Skype, Zoom, vero. Ma ci siamo resi conto che non siamo preparati ad usare questa tecnologia, sotto diversi aspetti, non solo dal punto di vista clinico. Può sembrare banale, ma noi non sapevamo come fatturare le visite gestite in telemedicina. Questo è un aspetto semplice, ma che rischia di diventare un ostacolo insormontabile se non lo si affronta. La telemedicina non è solo far partire una videochiamata. Si tratta di un modo nuovo e diverso di gestire i pazienti, una strada che dovremmo iniziare a percorrere non solo pensando ad una pandemia, ma pensando a come svolgere meglio la nostra professione. In altri Paesi, soprattutto in quelli in cui ci sono grandi distanze da coprire fra alcune zone rurali e gli ospedali, si pensi agli Stati Uniti o all’Australia, la telemedicina è praticata più frequentemente. Credo che la pandemia ci abbia dato l’occasione di riflettere su diversi aspetti della nostra professione. Penso che la telemedicina abbia diverse potenzialità per curare meglio i nostri pazienti, che non sia solo utile in caso di grandi distanze da percorrere.
Nei prossimi giorni io diventerò il Preside della facoltà di medicina e chirurgia della nostra università e mi piacerebbe riuscire ad enfatizzare l’uso delle nuove tecnologie nella pratica clinica. Io non sono un esperto del campo, ma devo dire che a Berna cerchiamo di essere attenti alle nuove tecnologie. Infatti abbiamo inaugurato da poco il SITEM (Swiss Institute for Translational and Entrepreneurial Medicine), il nuovo centro di competenza per la medicina traslazionale, che intende promuovere il trasferimento delle conoscenze dalla ricerca medica e dallo sviluppo industriale all’applicazione clinica migliorando durevolmente il processo di traslazione in tutto il paese. L’obiettivo dell’Inselgruppe è quello di sviluppare ulteriormente il polo medico di Berna con un’industria tecnica medica solida e un’industria farmaceutica e biotecnica in forte crescita, ottenendo un posizionamento internazionale. In questa struttura abbiamo creato una sorta di “smart loft” pensato per validare nuove tecnologie che permettano di monitorare le condizioni cliniche dei pazienti neurologici al domicilio.

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SITEM (credits: HRS https://hrs.ch)

Che conseguenze ha avuto la pandemia di COVID-19 sulle urgenze neurologiche? Alcuni studi hanno riportato un aumento delle morti per arresto cardiaco in Italia durante la pandemia, probabilmente dovute al timore di recarsi in ospedale e di contrarre l’infezione da SARS-CoV-2. È accaduto qualcosa di simile anche per ictus e TIA ad esempio?

Questo aspetto rientra fra i danni collaterali della COVID-19. Il virus ha ucciso infettando alcune persone e ha ucciso perché ha impedito ad altre persone di recarsi in ospedale per essere curate. È un dato di fatto. Non ho ancora visto dati al riguardo, quindi non ho modo di quantificare. Certamente anche noi abbiamo la netta percezione che alcuni pazienti non siano venuti in ospedale per paura del contagio. Trascurare i sintomi e ritardare l’intervento medico avrà avuto sicuramente conseguenze, che valuteremo quando avremo a disposizione i relativi dati.
Altra riflessione che faccio parlando di urgenze durante la pandemia di COVID-19 è questa: la paura del contagio ha anche frenato gli accessi in ospedale dei pazienti con sintomatologia lieve, o magari assente, col risultato che noi abbiamo visitato quasi esclusivamente pazienti che avevano davvero necessità urgente di un medico. La casistica ha visto un netto aumento dei pazienti più gravi. Per essere chiari:  la nostra disciplina ci porta solitamente a contatto con molti pazienti “funzionali” che, in tutta sincerità, durante la pandemia di COVID-19 non si sono praticamente mai visti in Pronto Soccorso.

Sulla base delle evidenze attuali, quali sono le manifestazioni neurologiche più ricorrenti della COVID-19?

I dati al riguardo sono  in crescita. Parlo più da Presidente della EAN (European Academy of Neurology) che per esperienza personale. Ho potuto seguire la crescita della conoscenza, che pur rimane ancora frammentaria, grazie alle osservazioni di altri colleghi. I dati disponibili rimangono ancora poco precisi e non sempre confermati. Ad oggi si può dire che la COVID-19 è una malattia sistemica e tra i sistemi che colpisce c’è sicuramente anche il sistema nervoso centrale. La EAN ha sviluppato e distribuito un questionario che ha permesso di raccogliere dati interessanti sugli aspetti neurologici della malattia. Un questionario semplice, compilabile online in pochi minuti, che ci ha consentito di fare una fotografia, seppur sommaria, degli aspetti di interesse neurologico. Il questionario è stato compilato da oltre 2500 neurologi di tutta Europa.
Ad oggi possiamo dire che le manifestazioni cliniche neurologiche sono diverse e molto frequenti. Almeno un terzo dei pazienti è affetto da sintomi in qualche modo riconducibili ad un danno al sistema nervoso. Predominano i sintomi lievi, ad esempio l’anosmia, l’ageusia, le mialgie, le cefalee, l’astenia, la sonnolenza. Sintomi abbastanza aspecifici. Ci sono poi tutta una serie di complicazioni, fortunatamente poco frequenti, che comprendono ictus, encefalopatie, sindrome di Guillain-Barré, poliradicolopatie.
Ma cosa abbiamo notato di specifico? Per prima cosa i disturbi dell’odorato e del gusto, che sembrano accompagnare molti pazienti COVID-19 e che di solito non sono presenti nelle manifestazioni delle malattie infettive. Altra cosa, l’assenza di sensazione di dispnea a fronte di una ridotta saturazione di ossigeno nel sangue, un segnale d’allarme che non si innesca come dovrebbe.
I dati che iniziamo ad avere ci fanno pensare che questo virus mostri uno spiccato neurotropismo che lo porta a colpire in modo particolare il tronco cerebrale e forse le strutture che sono preposte all’odorato e al gusto.
Neurotropismo, cross-reattività, conseguenze dei disturbi sistemici (coagulopatie, ipossia, …) sono i meccanismi principali con cui il virus SARS-CoV-2 agisce sul sistema nervoso.
Questo è il quadro delle conoscenze che, lo ripeto, sono ancora poche e non consolidate.

A proposito di Ean NEuro-covid ReGistrY (ENERGY): quali sono gli obiettivi che si pone e qual è lo stato dell'arte ad oggi?

Abbiamo creato un registro in tempi rapidi (tutte le informazioni sono disponibili sul sito www.ean.org). Le società nazionali di neurologia italiana, spagnola e portoghese ci hanno aiutato molto nella fase iniziale, perché erano molto coinvolte dalla pandemia, purtroppo. Diversi colleghi italiani, alcuni bergamaschi che conosco personalmente, hanno dato un importante contributo allo sviluppo di questo registro. Si tratta di un lavoro importante perché ha permesso di identificare una serie di variabili utili a creare una banca dati senza la quale sarebbe impossibile fare confronti ed analisi. Questa raccolta di dati servirà a ridurre i limiti degli studi che li useranno, rendendo possibili valutazioni ad ampio respiro. Il registro è a disposizione della comunità scientifica e al momento raccoglie i dati di circa 200 centri. Per fortuna oggi in Europa la casistica va diminuendo, ma avendo una buona rete lo stiamo implementando grazie alla collaborazione con diverse realtà del resto del mondo, tra cui ad esempio una società americana di neuro-critical-care.
Il registro è stato pensato in senso prospettico, ma c’è anche la possibilità di inserire dati retrospettivi da parte dei vari centri.