La lettera di un medico evidenzia il grave problema del burnout tra i sanitari
Si stima che un buon 30 per cento degli operatori sanitari con più di 50 anni, demoralizzati dalla mole di lavoro, da una burocrazia sempre più ingombrante e da preoccupazioni legali stia pensando di cambiare settore di lavoro. La sindrome di burnout è sempre più frequente tra i medici, come testimoniato da una lettera pubblicata da The Guardian di cui vi riportiamo la traduzione.
Mi dispiace che tu sia morta prima di aver avuto modo di ascoltare la tua storia. Stavo lavorando, cercavo di tirar fuori sangue dalle tue vene ormai invisibili, e tu provavi a raccontarmi di un giorno speciale che avevi vissuto una trentina d’anni fa. Eri così orgogliosa, ti promisi che sarei tornato appena possibile per sentirti raccontare tutta la storia di quella giornata.
Ti ho interrotta crudelmente a metà della frase perché altri cinque pazienti del mio reparto avevano bisogno di un prelievo di sangue. E gli altri 31 pazienti avevano bisogno di interventi critici e urgenti che dovevo svolgere per farli sopravvivere e aiutarli a guarire. Poco prima di morire, l'ultima esperienza che hai vissuto, la tua ultima, è stata quella di incontrare un medico in affanno e sovraccarico di lavoro, che nemmeno aveva il tempo di ascoltare un tuo ricordo felice.
Mi dispiace anche per gli altri miei pazienti. Questa situazione - in cui sono costretto, per garantire la loro salute, ad esser freddo e distaccato - è quotidiana. Se la gente scherza sul cibo o per quello che vede dalla finestra, io non ho tempo di condividere quel momento di divertimento. Il massimo che posso concedermi è un sorriso fugace mentre mi affretto a passare.
Sono un medico stressato, questo è il problema.
Ricordo la moglie di un paziente che voleva disperatamente che la malattia incurabile del marito potesse essere guarita, che si potessero spostare all’indietro le lancette dell’orologio. Avrei voluto essere presente mentre lei mi raccontava come si erano conosciuti quando avevano entrambi 18 anni, di come avevano cresciuto tre figli e come avevano sognato una vecchiaia ricca di esperienze da vivere insieme. La terribile verità è che stavo ascoltando solo a metà. Stavo pensando al mio lavoro da fare: TC da prescrivere, esami da guardare per rivedere le terapie. Sono costretto a scegliere tra il prendermi cura dei miei pazienti e dei loro cari e il mostrare compassione ed empatia. Mi dispiace molto per questo.
Devo dare la priorità ai compiti cruciali per curare i pazienti. Già solo fare questo è un’impresa quasi impossibile per la mancanza di personale in reparto. Garantiamo che le procedure vengano portate a termine per la sicurezza dei pazienti, ma siamo talmente sotto pressione che gli extra, come una banale conversazione, sono lussi che non possiamo concederci senza mettere a rischio la salute dei pazienti. Pur lavorando per tutto il mio orario di lavoro, senza quasi andare in bagno a svuotare la vescica, non riesco a fare tutto.
Questa professione si presa la mia umanità? Non sono una cattiva persona. Sono profondamente dispiaciuto per gli effetti di questo fallimento del sistema. Non posso permettermi di sentirmi in colpa. Gli straordinari al lavoro, che faccio regolarmente, le occasioni familiari che sono costretto a perdere, gli impegni sociali che devo cancellare all'ultimo minuto - tutto aiuta a tenere a bada a quel senso di colpa.
Sono orgoglioso del lavoro che faccio, ma la possibilità di raccogliere la mano che i pazienti mi tendono è continuamente spazzata via dal carico dei sistema sanitario nazionale. Un carico eccessivamente pesante e mal retribuito. Le persone disperatamente malate da una parte e la mia umanità dall’altra. Non possono sopravvivere entrambe. Per chi è diventato un medico da curare, tutto questo è difficile da accettare.
Fonte: My job as a doctor in today's NHS is draining me of humanity. The Guardian. Thu 7 Feb 2019