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Per i medici nulla dovrà essere come prima

Abbiamo intervistato il Dr. Michele Usuelli, Consigliere di Regione Lombardia, che domenica scorsa ha diffuso un comunicato stampa nel quale invoca a gran voce un cambio di strategia nella gestione della pandemia di COVID-19.

Intervista al Dr. Michele Usuelli, Consigliere di Regione Lombardia

Abbiamo intervistato il Dr. Michele Usuelli, neonatologo, Consigliere di Regione Lombardia, che domenica scorsa ha diffuso un comunicato stampa, insieme al Prof. Enrico Bucci della Temple University e a Marco Cappato dell'Associazione Luca Coscioni, nel quale invoca a gran voce un cambio di strategia nella gestione della pandemia di COVID-19.

Durante l'intervista abbiamo approfondito diversi temi interessanti. Vi consigliamo di prendervi 5 minuti e di leggerla tutta, per intero. Per comodità, vi lasciamo qui un sommario dei temi trattati

  • L'attività politica del Consiglio Regionale della Lombardia nel primo mese dell'emergenza COVID-19
  • I tamponi per la diagnosi di COVID-19
  • Gli ospedali sono moltiplicatori del contagio
  • Insegnare l'autoprotezione al personale sanitario
  • Le famiglie degli operatori sanitari hanno bisogno di aiuti concreti
  • Il carico di lavoro degli operatori sanitari durante la pandemia
  • L'alto tasso di letalità in Lombardia
  • Il problema del trasferimento dei pazienti intra ed extra-regionale
  • Medici senza guida
  • Cosa si è imparato nei primi 30 giorni di pandemia

Buongiorno Dr. Usuelli, prima domanda banale, ma che di questi tempi non lo è così tanto. Come sta e come sta gestendo le sue attività?

Io fortunatamente sto bene e, come molti, sto lavorando da casa. Questa crisi sta facendo emergere risorse che nell’ordinario sfruttiamo poco. Stiamo scoprendo ora, meglio tardi che mai, il potenziale delle nuove tecnologie, che ci permettono di lavorare senza andare in ufficio. E permettono ai nostri ragazzi di studiare. I miei bambini sono impegnati con compiti e scadenze, e vederli riuniti in classe tramite la videoconferenza è meraviglioso. Stanno imparando che computer e tablet non servono solo per giocare, ma anche per imparare e confrontarsi con altre persone. Una buona cosa, nonostante tutto.
Entrando nel merito della mia attività politica, devo dire che è un periodo di lotta. Io non posso accettare che i politici del Consiglio Regionale della Lombardia continuino a dire che i medici sono degli “eroi” perché vanno tutti i giorni al lavoro e noi, che dovremmo essere la classe dirigente di questo Paese, abbiamo tutte le commissioni bloccate e un Consiglio che non si riunisce da settimane. Ho quindi sollecitato, quasi minacciato, i miei colleghi Consiglieri di denunciare tramite comunicati stampa il fatto che il Parlamento regionale sia di fatto in stallo. La mia battaglia politica è quella di riattivazione del Parlamento regionale che, così come il Parlamento nazionale, è il luogo deputato al confronto, all'approfondimento e alle votazioni a maggioranza per decidere sulle varie questioni.  La delega al governo nazionale e regionale può portare verso una deriva pericolosa secondo me. Sono riuscito ad attivare le due commissioni che a mio parere, soprattutto in questo momento, è necessario che si riuniscano: la commissione carceri e la commissione sanità. Lunedì scorso nella riunione dei capigruppo  ho chiesto, in solitaria, per la terza volta, che l’aula del Consiglio Regionale torni a riunirsi, nei modi che il Presidente riterrà opportuni. L’aula del Consiglio Regionale non può stare ferma in un momento come questo, deve lavorare, approfondire e legiferare. Chiedo che ci si attivi, almeno come stanno facendo i nostri figli delle scuole elementari. Ho perso, per la terza volta.
Sono un medico e sono un politico, il mio lavoro quotidiano in questo periodo è molto intenso, avendo il privilegio di fare da cerniera tra medicina e politica. Sto studiando, sto ascoltando le riflessioni dei miei colleghi medici infettivologi, rianimatori, pneumologi, che mi fanno fiducia delle confidenze in un momento in cui non possono parlare con la stampa. Sto cercando di fare una sintesi scientifica da proporre ai decisori politici. In questa situazione di crisi, questo è il ruolo e la responsabilità di cui mi sento investito.
Per dirla tutta,  10 giorni fa fa ho richiesto il reintegro nel sistema sanitario nazionale per dare il mio contributo tornando a fare il medico. Ho risposto all'appello di Regione Lombardia, ho mandato una mail all’indirizzo segnalato, i miei documenti, il mio curriculum, ma, ad oggi, nessuno mi ha ancora risposto. In tempo di crisi le risposte dovrebbero essere rapide, così non è in questa unità di in crisi.  Non so se e quando mi risponderanno. Non so nemmeno cosa risponderò io, considerato che molti colleghi mi stanno incoraggiando a continuare questo lavoro di opposizione istituzionale che, con critiche costruttive, stimola i decisori politici a fare meglio di quanto stanno facendo.

Le riporto numeri che sicuramente già conosce, aggiornati alle 19.30 di ieri. In Lombardia abbiamo 32.345 positivi a SARS-CoV-2 e 4.474 deceduti. Qual è il suo primo pensiero, proprio il primo che le viene in mente?

Come ha ben detto in questi giorni il Prof. Enrico Bucci, la situazione dei tamponi positivi in Regione Lombardia è un dato che non possiamo più prendere in considerazione.  La premessa è che in Regione Lombardia i nostri medici hanno due protocolli diversi sulle indicazioni al test del tampone, uno del Ministero della Salute/ISS e l’altro di Regione Lombardia. Questo ha creato nei nostri medici una confusione di cui, sinceramente, non si sentiva il bisogno.
Noi dobbiamo essere pragmatici, saper misurare realisticamente la nostra capacità di eseguire test. Qualche giorno fa ho parlato con un professore di epidemiologia dell'Università di Seul, che mi spiegava che la loro capacità di eseguire tamponi a tappeto è dovuta alla grande capacità logistica ereditata dall’epidemia di MERS, che non ha toccato l’Europa. Per questo sono riusciti a mettere in funzione in tutto il paese molte centinaia di laboratori in grado di fare test in modo massivo. Noi non abbiamo pronto un sistema di questo tipo. Qui, oggi, dal momento dell'esecuzione del test alla consegna del referto passano giorni. Dobbiamo accettare il fatto che, oggi, non siamo in grado di eseguire test in modo indiscriminato, a tutti, anche ai soggetti asintomatici. Dobbiamo eseguire test seguendo una precisa scala di priorità: i pazienti sintomatici, i pazienti ospedalizzati, certamente, ma anche il personale sanitario.  

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Allo stesso tempo dobbiamo attivarci per riuscire a velocizzare la tempistica dei test. Tra le possibilità, ci sono dei nuovi kit diagnostici, molto interessanti, che vanno a leggere la sierologia. Questi test si eseguono da prelievo capillare, senza neanche bisogno di centrifugare, e in 15 minuti si hanno i risultati. Nuovi strumenti potrebbero farci pensare, realisticamente, a nuove strategie. Non sono ancora sufficientemente specifici e sensibili per un uso clinico vasto, ma lo saranno presto. Intanto molti laboratori con macchinari PRC non vengono ancora usati per fare diagnosi sui tamponi. L’aumento urgente della potenza di fuoco diagnostica, ridurrebbe i tempi di restituzione dei referti e potrebbe ampliare la platea dei tamponati.  
Guardando i numeri, il testing è il primo aspetto che mi è venuto in mente. Ma avrei potuto anche parlare di altro senza cambiare il concetto fondamentale che sto cercando di esprimere. Non dobbiamo continuare a fare quello che sta facendo questa unità in crisi, non dobbiamo fare di più all’interno della stessa strategia. Forse è arrivato il momento di cambiare strategia. Come si fa in ogni ciclo di progetto, bisogna anche prevedere momenti di valutazione ed eventualmente di ripianificazione. Io credo che l’unità in crisi di Regione Lombardia sia affetta da una malattia che si chiama “ancoraggio”. È un sentimento umano, per carità, ma che non si addice a chi deve governare. All’interno del palazzo regionale si lavora 24 ore su 24 cercando di implementare quello che si sta già facendo, facendo fatica a mettere in discussione la strategia.
Bisogna avere la lucidità mentale di esplorare nuovi metodi diagnostici che la scienza velocemente ci sta mettendo a disposizione. L’ampliamento della capacità diagnostica va messa a disposizione prioritariamente di quella popolazione che, a mio parere, è maggiormente responsabile del contagio. Sto parlando di tutti quelli che, a vario titolo, mettono piede in un qualsiasi ospedale.
Lucidità mentale che, ahimè, a volte è mancata. Un esempio? Si è arrivati a specificare, in una delibera regionale, che personale sanitario a contatto con un paziente affetto da COVID-19 senza DPI dovesse fare il test solo in presenza di sintomatologia. Questo è inaccettabile.

Primo problema che si affronta nel comunicato stampa: gli ospedali, leggasi gli operatori sanitari, sono potenziali veicoli di contagio che, oggi, nessuno monitora. Ci riassume quali provvedimenti ritiene siano necessari e quale impatto positivo prevede possano avere sulla crisi?

Noi stiamo inseguendo a piedi un virus che nei nostri ospedali corre in Ferrari. Non lo raggiungeremo mai senza un cambio di strategia. La proposta, mia, del Prof. Bucci, di Marco Cappato dell'associazione Luca Coscioni e di diversi clinici con cui ci siamo confrontati, richiede un behavior change e nasce da un’evidenza basata sulla lettura dei numeri. La velocità di contagio e di propagazione del virus è massimale dentro i nostri ospedali lombardi. Quindi, chiunque entri in ospedale, deve essere considerato e deve considerarsi come potenzialmente positivo. La strategia di Regione Lombardia di coortare, ovvero di cercare di dividere dentro gli ospedali gli ambienti puliti dagli ambienti sporchi, è fallimentare. Leggo i numeri, è chiaro che qualcosa non stia funzionando. La mia non è una denuncia politica fatta per puntare il dito contro qualcuno. La strategia poteva anche rivelarsi vincente, ma siccome così non è stato. È ora di cambiare.
Nei nostri ospedali non ci sono luoghi puliti. Non bisogna più coortare, ma bisogna compartimentare. Il personale sanitario non può più girare liberamente dentro gli ospedali, tanto quanto l’addetto alla manutenzione delle macchinette del caffè. Ci deve essere una riorganizzazione logistica, percorsi ben definiti per tutti. L’infermiera della pneumologia, ad esempio, deve seguire una strada precisa, dall’ingresso in ospedale al suo reparto e dal reparto fino all’uscita a fine turno. Chiunque entri in ospedale per motivi di lavoro o di ricovero deve seguire un percorso codificato per andare dal luogo A al luogo B, deve rimanere dentro il luogo B, poi uscire da un altro percorso. Quello che manca negli ospedali è un'assistenza logistica. Io propongo che gli studenti di medicina e i neolaureati  ricevano un training e facciano i guardiani di qualsiasi porta ci sia dentro l'ospedale, dirigendo i flussi, permettendo a chi deve entrare in un dato luogo di entrarci solo se autorizzato e se vestito nella maniera giusta, permettendo a chi deve uscire, di uscire se autorizzato e se vestito nella maniera giusta. Studenti e specializzandi potrebbero anche fare i "postini", che portano pazienti, provette e quant’altro da un reparto e l’altro, mentre il personale di reparto è compartimentato nel suo reparto di lavoro. Queste persone, adeguatamente formate, possono rivelarsi un elemento prezioso per contrastare la diffusione del virus. Inoltre possono aiutare i sanitari nelle operazioni di vestizione e svestizione, facendo risparmiare tempo, risorsa fondamentale in questo periodo. Risparmio di tempo e aumento della sicurezza, due elementi importanti, lo ripeto, in un momento di crisi. Non si inventa nulla, sia chiaro. Queste conoscenze derivano dall’esperienza che ho vissuto in Africa durante le epidemie di Ebola. In molti degli ospedali con pazienti affetti da Ebola la differenza è stata fatta da un controllo strettissimo delle norme di sicurezza messo in atto da guardiani capaci di evitare la moltiplicazione del contagio. In Sierra leone erano spesso anafabeti, ma con la formazione, hanno assolto in maniera eccellente il loro lavoro.
A questo si aggiungono altre misure. Abbiamo la tecnologia per tracciare i riders che consegnano le pizze a domicilio. Perchè non usarla al fine di tracciare gli spostamenti della popolazione più a rischio di estendere il contagio? Questa popolazione, lo ripeto, è per me costituita da tutti coloro i quali mettono piede in ospedale.
E poi, altra cosa fondamentale che io sto cercando di spiegare alla politica da almeno tre settimane e che purtroppo non viene considerata sufficientemente interessante per essere presa in considerazione sono i corsi di formazione per il nostro personale sanitario. Parlo di corsi di formazione sull’autoprotezione, secondo me tanto utili quanto la disponibilità di DPI.  Da quello che so, questi training sono stati fatti a macchia di leopardo, solo grazie all’iniziativa autonoma di qualche primario infettivologo. Serve invece un’azione coordinata di refreshment e training per tutto il personale ospedaliero coinvolto in questa emergenza. Ad oggi Regione Lombardia ha mandato un documento pdf. A cosa può servire un documento pdf mandato insieme a mille altre informazioni? Siamo nel 2020, basta veramente poco per realizzare video informativi e divulgarli alle persone interessate dal problema o per organizzare training frontali all’interno degli ospedali.
Le mie non vogliono essere critiche strumentali, ma pretendo che questa unità in crisi faccia una valutazione di quanto fatto, delle cose giuste e della cose sbagliate, e pianifichi i prossimi passi per aiutare i nostri medici, i nostri infermieri, gli OSS e tutti quelli che si stanno impegnando per superare questa emergenza.
Non è troppo tardi. Migliorare fa bene alla Lombardia, alle altre regioni ancora poco coinvolte dall’epidemia. Al resto del mondo, che ci sta osservando e si sta preparando ad affrontare quello che stiamo affrontando noi.

Per i nostri lettori, essenzialmente medici, una frase del comunicato stampa è di sicuro interesse: “E come spesso accade, in caso di marito e moglie medici, aiutarli nella gestione della loro famiglia”. Di cosa stiamo parlando, in concreto?

Anche questa mia riflessione nasce dal confronto con i miei colleghi clinici con cui io sono in relazione. Nella mia prima bozza di comunicato scrivevo che il personale sanitario, oltre ad essere oggetto di tampone e tracciato, dovesse avere la possibilità di non tornare a casa dopo il turno, ma di soggiornare in albergo senza spendere un centesimo di tasca propria. L’indicazione per me rimane che il personale sanitario, che in scienza e coscienza si ritiene a rischio, debba poter non tornare a casa, evitando di mettere in difficoltà i propri familiari.
I miei colleghi,  con cui spesso mi confronto, mi hanno poi sottoposto la questione della gestione dei figli. Infatti sono tante le famiglie in cui mamma e papà lavorano entrambi in ospedale. Che siano medici, infermieri, OSS, poco importa. Importa che esiste un numero non trascurabile di queste famiglie. Le considerazioni dei miei colleghi mi hanno fatto riflettere. Serve quindi ragionare su tutte quelle situazioni in cui le famiglie composte da persone impegnate nell’emergenza hanno gravi difficoltà nella gestione dei bambini (monogenitorialità, marito e moglie entrambi impegnati in ospedale, …). Questo è un tema da affrontare e sviluppare con il dibattito. Non credo, personalmente, che il sostegno economico sia quello di cui oggi queste famiglie hanno bisogno. Probabilmente serve individuare figure che abbiano una garanzia sufficiente di credibilità per dare un sostegno concreto, fatto di presenza fisica, a questi genitori. Evidentemente non possiamo creare delle situazioni di rischio, ma garantire la sicurezza e la serenità di bambini e genitori. All’interno delle diverse comunità queste figure già esistono, si tratta di creare un network che le raccolga e le renda disponibili subito. Tanti sono gli educatori che al momento sono fermi perché le scuole sono chiuse, insegnanti e maestre d’asilo, ma penso anche che queste figure si possano trovare all’interno degli oratori, del mondo del volontariato, tra le associazioni di comprovata serietà.
Questo è un tema che va affrontato urgentemente. I nuclei familiari che al momento stanno dando un contributo all’emergenza sanitaria hanno bisogno di un aiuto concreto e noi politici dobbiamo impegnarci in questo. Parliamo di famiglie in cui ci sono medici, infermieri, ma anche farmacisti o cassieri del supermercato, tutti impegnati duramente al lavoro e con i bambini a casa. Io al momento non ho la risposta certa al problema, ma so che il problema c’è e va affrontato subito da chi ha il potere decisionale. Continuiamo a chiamarli “eroi”, ma allora, se sono eroi, facciamo qualcosa di concreto per questi eroi che, mi si passi l’espressione, si sono anche rotti i coglioni di essere chiamati eroi e poi di essere abbandonati al loro destino.

Questa maxi-emergenza durerà per diverse settimane ancora. Alla prima fase, in cui molto si è improvvisato ed inventato, soprattutto negli ospedali più vicini al primo focolaio epidemico, deve necessariamente seguire una fase di programmazione e di gestione diversa. Parlando delle risorse umane, dei medici, so di colleghi che da un mese lavorano ininterrottamente anche per 15 ore al giorno. Alcune terapie intensive hanno triplicato i loro posti letto con lo stesso personale (anche con qualche unità in meno visti i contagi fra i medici). Il collasso sanitario si rischia non solo per mancanza di strutture, ma anche, forse soprattutto, se non si gestiscono al meglio le risorse umane. Qualcuno sta pensando a delle soluzioni? Magari ad organizzare un turnover tra i sanitari?

Tutti i medici con cui ho parlato in queste settimane, a dire la verità, non si sono mai lamentati dei turni troppo duri come il primo dei problemi. Medici e infermieri rappresentano una popolazione abituata da sempre a turni di lavoro impegnativi. Giusto o sbagliato, il dato di fatto è che i medici sono abituati a turni di 12 ore e a non fare molta differenza tra giorni infrasettimanali, weekend e giorni festivi. In un momento di emergenza come questo, abbiamo di fatto personale allenato, capace di reggere questa maratona. Oggi si sono moltiplicati i turni da 12 ore e i riposi sono molto poco frequenti, ma i nostri sanitari di questo, per quella che è la mia esperienza, non si lamentano di questo come il problema principale. Vedo nei nostri medici un alto senso di responsabilità, un alto livello di commitment e di competenza, tutte caratteristiche che non ritrovo in tanta parte della nostra classe dirigente. Il carico di lavoro certamente è un problema, di non facile soluzione considerate la portata, la durata e la globalità dell’emergenza. Tuttavia, quello che noto confrontandomi con i nostri medici, non è la segnalazione di un numero eccessivo di ore di lavoro, ma la segnalazione di disfunzioni del sistema, che li portano a lavorare in condizioni che questa unità in crisi deve almeno provare a migliorare.
Io non ho risposte complessive. Direi miei colleghi medici che questo è il momento di tenere duro e di fare squadra, tenendo d’occhio i segnali di burnout. Chi ha la forza, l’energia e l’abnegazione per andare avanti deve cercare di andare avanti in questa prima fase. Certamente, questo deve essere chiaro, niente in futuro dovrà essere come prima. La classe dirigente di questo Paese adesso e nel prossimo futuro deve dimostrare una serietà quantomeno paragonabile a quella che stanno mostrando adesso i nostri sanitari. Questo è quello in cui dobbiamo avere fiducia per risollevarci quando l’emergenza sarà finita.

Seconda questione affrontata nel comunicato stampa: l’alto tasso di letalità in Lombardia è diventato un caso su cui puntano gli occhi anche istituzioni e media internazionali (soprattutto alla luce di dati di altre nazioni, la Germania su tutte). Nel comunicato stampa si evidenzia il potenziale effetto della saturazione degli ospedali. Cosa ci può dire in proposito?

La risposta dei nostri ospedali e in particolar modo l’aumento dei posti letto in questo ultimo mese sono stati efficaci. Su questo punto l’Assessore Gallera e i suoi collaboratori si meritano un 10. Hanno capito subito che l’aumento rapido, funzionale ed economicamente sostenibile dei posti letto intensivi e sub-intensivi avrebbe rappresentato un’arma vincente contro questa epidemia. Aver sospeso le attività chirurgiche elettive e aver riconvertito personale, attrezzature e locali ha garantito un aumento di capacità terapeutica in brevissimo tempo. È stata un’idea vincente. Detto questo, se la necessità di cure intensive e sub-intensive avesse avuto una crescita lineare, non avremmo avuto problemi e avremmo potuto continuare a fare more of the same. Siccome la crescita è esponenziale, questa strategia non è più sufficiente, ci serve un cambio di passo.
Per quel che riguarda l’alto tasso di letalità in Lombardia, oggi non credo si possano dare risposte univoche e complessive. Il fenomeno è in corso e lo stiamo studiando. Ci sono risposte parziali. Una risposta parziale è che l’anziano cardiopatico e diabetico che oggi, in Lombardia, muore per COVID-19,in altre regioni italiane e in altri stati del mondo sarebbe già morto perché anziano, cardiopatico e diabetico… In Cina sono morti pochi ultranovantenni, perché non ce ne sono.  Un’altra risposta parziale è che, per colpa dei singoli stati membri che non cedono potere all'Unione Europea, non esiste un criterio unico di registrazione dei decessi e delle cause di morte. Il modulo che si compila in caso di decesso è nazionale, diverso tra i vari stati. Questo può influire sui dati relativi al coronavirus che si raccolgono nei diversi Paesi. Infine, facendo in Lombardia pochi tamponi, il nostro denominatore è piccolo e quindi è alto il nostro tasso di letalità.
Il Prof. Enrico Bucci, che è molto bravo a leggere i numeri, sostiene che le curve di mortalità di Regione Lombardia sono simili a quelle di altri luoghi del mondo fino a quando i singoli reparti ospedalieri lombardi non hanno iniziato a diventare saturi. Questa osservazione è rilevante e chiama in causa un altro anello della catena di comando dell'unità in crisi, cioè la capacità di trasferire i pazienti. Se è vero quello che dice l’Assessore Gallera che al momento il numero totale posti letto di terapia intensiva non è a saturazione massima e se è vero che alcuni ospedali singolarmente sono arrivati a saturazione massima, allora significa che in Lombardia ci sono ospedali con posti liberi disponibili. Il paziente critico può essere trasferito, una volta stabilizzato, in ambulanza o in elicottero. Nella gestione dei tassi di mortalità e di letalità la capacità di trasferimento dei pazienti riveste un ruolo fondamentale quando hai ospedali saturi. Il meccanismo  di trasferimento dei pazienti intra ed extra-regionale va ottimizzato.
La rete di comunicazione fra ospedali è il perno di questo sistema, ma oggi, nel 2020, questa rete si basa ancora, per lo più, sull’uso del telefono. Non è accettabile che la possibilità di trasferimento di un paziente dipenda dall’esito di una serie di telefonate che possono avere esito più o meno fortunato. La rete regionale delle terapie intensive neonatali coordinata dal Policlinico di Milano, che conosco bene,  viene gestita telefonicamente, senza che vi sia traccia di questa gestione. una serie di telefonate. Stessa cosa avviene anche per la rete regionale dei pazienti sub-intensivi, quella dei pazienti in ventilazione non invasiva. Il coordinamento viene fatto al Sacco di Milano, tutto viene gestito al telefono. La rete dei pazienti in ossigeno (fino a 4 l/m), gestita al Pio Albergo Trivulzio, ha un portale che si chiama “Priamo”. Ai medici servono logistica, tecnologia ed infrastrutture per fare quello che oggi, ripeto nel 2020, avrebbe senso fare quando si vuole trasferire un paziente: si consulta un portale online, si verifica in tempo reale la disponibilità dei posti letto, si organizza il trasferimento. Si potrebbe magari implementare Priamo, che esiste già. Apriamo subito altre 2 tendine su Priamo. Oggi invece per trasferire un paziente si fa il giro delle telefonate di mezza Regione, e a seconda della cortesia e della competenza di chi risponde, o di quanto tu gli stia simpatico, ci si riesce o meno. Inaccettabile che i medici perdano tempo in questo modo, i medici devono stare vicini ai pazienti. Tutto su Priamo e che venga gestito da ingegneri; i medici hanno altro da fare.

Molti medici lombardi, soprattutto quelli impegnati sul territorio, lamentano la scarsità di dispositivi di protezione, ma anche, soprattutto, la scarsità di linee guida e di informazioni precise. La sensazione che riportano i social media, che quindi ha un peso relativo, ma che comunque rappresenta una voce, è quella di un sistema sanitario che abbia lasciato la sua prima linea scoperta. Cosa non ha funzionato? Forse la discrasia tra competenze nazionali e regionali può aver contribuito a creare confusione?

In generale va detto che il nostro sistema non sembra essere in grado di comunicare con i propri medici. La linea politica che da più di 20 anni guida questa Regione ha contribuito notevolmente a creare situazioni che oggi vengono messe sotto accusa. Prendiamo a esempio la riforma Maroni del 2015, quella con cui si dividono ATS e ASST, che certamente non ha aiutato il rapporto tra ospedale e territorio. Divisione di cui non se ne è mai capita la logica, che in questa fase di emergenza viene messa sotto accusa clamorosamente. Oggi i medici, siano essi ospedalieri o territoriali, non sono tanto stupiti dai turni massacranti, quanto dall’assenza pressoché totale delle ATS in questa emergenza. Cosa stanno facendo? Non si sa. Si muovono a macchia di leopardo, qualcuna fa un po' meglio qualcuno fa un po' peggio, ma quel ruolo di raccordo tra ospedale e territorio, soprattutto in ambito di prevenzione,  è scoperto. Sono le grandi assenti in questa emergenza. La colpa non è della singola persona che lavora all’interno dell’ATS, ma di una riforma obiettivamente fatta senza una logica, senza una visione, senza coerenza. La superficialità politica purtroppo ha anche conseguenze pratiche che, soprattutto in situazioni di emergenza, si traducono in aumento di mortalità. La riforma sanitaria Maroni non aveva nessun razionale, e lo stiamo pagando adesso.
Sicuramente molto di quello che si è fatto a livello di governi nazionale e regionali poteva essere fatto meglio. Io non sottovaluterei il clima politico in cui i governatori si sono trovati a gestire una maxi-emergenza, clima che certamente non ha aiutato ad essere lucidi ed efficaci. Nello specifico, non dobbiamo sottovalutare il livello di cinismo di alcuni politici. La mia valutazione personale è che da settimane vi sia in atto, sulla pelle degli italiani, una guerra violenta e subdola, portata avanti da alcune figure che, solo per racimolare consenso, sarebbero capaci di vendere la loro madre. Politici a livello nazionale che hanno cambiato idea dal giorno alla mattina, facendo delle vere e proprie inversioni a U, senza rendersi conto della pericolosità dei loro comportamenti in un momento tanto critico. Spero che, alla fine di questa emergenza, si capirà che di questi politici non abbiamo davvero bisogno. Non parlo di forze politiche, ma di persone che tentano di sfruttare sottotraccia la difficoltà del momento a fini elettorali. Una persona come Matteo Salvini non fa bene nemmeno alla Lega.
Chiaramente esistono anche altri fattori che hanno portato ad una gestione a volte confusa a livello nazionale e regionale. Ma io sono convinto che un’opposizione seria avrebbe aiutato molto di più a non mettere i nostri sanitari per primi, ma anche tutta la comunità, in difficoltà durante questa crisi.
Secondo me il Presidente Fontana ha fatto un grande errore, probabilmente fatto per mancanza di lucidità in un momento di stress elevatissimo,  quello di annunciare i 500 posti di terapia intensiva in Fiera senza fare le verifiche tecniche preliminari. Senza una analisi logistica, senza interrogarsi sulla gestione delle risorse umane e delle attrezzature, senza una strategia precisa, senza una valutazione del rapporto rischio/beneficio, questi 500 posti in Fiera sono stati annunciati come una sorta di soluzione miracolistica a tutti i problemi legati a questa crisi sanitaria in Lombardia. Pur comprendendo il contesto, da un politico a capo di una Regione non possiamo accettare decisioni prese sull’onda dell’emotività. Ha la responsabilità di dieci milioni di cittadini, da lui pretendiamo decisioni fredde e ragionate. Il progetto andava prima concertato con chi di dovere, valutarne la fattibilità in modo credibile e solo dopo annunciarlo come una possibilità utile, difficile da realizzare, efficace solo a certe condizioni. Sono convinto che il Presidente Fontana abbia a cuore la salute dei cittadini lombardi, ma credo anche che subisca il pressing di Salvini che, invece, forse tenta di raccogliere consensi anche in questa situazione critica grazie a provvedimenti che impattino sull’immaginario collettivo, ma senza interrogarsi in modo serio sulla loro fattibilità ed efficacia.

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Certamente Regione Lombardia in queste settimane ha acquisito un bagaglio di conoscenze che potrebbero rivelarsi utili alle altre Regioni, soprattutto a quelle che non stanno ancora affrontando la maxi-emergenza con la stessa violenza con cui la stanno affrontando gli ospedali lombardi. Cosa Si sente di consigliare a chi ha ancora tempo per potersi preparare?

Tutto il mondo oggi sta osservando quello che sta succedendo in Lombardia. Ieri ho partecipato ad un dibattito televisivo sul tema COVID-19 insieme a scienziati esperti dell'università di Seul, che si sono mostrati molto interessati a capire come noi stiamo affrontando l’emergenza. Il mio messaggio è semplice: copiate tutto quello che di buono abbiamo fatto e siate più bravi di noi in quello in cui siamo stati meno bravi. Sicuramente siamo stati bravi nell’aumentare il numero di posti letto negli ospedali. Siamo stati invece pessimi nella formazione del personale sull’autoprotezione. Siamo stati bravi nel capire subito che CPAP e ventilazione non invasiva ci avrebbero permesso di guadagnare tempo e di decongestionare le nostre terapie intensive. Siamo stati poco efficaci nella comunicazione, soprattutto creando confusione nei messaggi tra quello che diceva il governo centrale e quello regionale. Avremmo potuto organizzare meglio la rete di coordinamento e la logistica. Lo dico ora perché abbiamo ancora il tempo per farlo.
Va sicuramente migliorata la gestione del tempo dei medici. Questa emergenza ha esacerbato una situazione preesistente, che non dobbiamo più accettare. Durante il turno di lavoro i medici non devono dedicare tempo in lavori che non hanno a che fare con la medicina. In altri Paesi esistono figure di supporto, quali assistenti, segretari, tecnici informatici. I medici devono occuparsi dei loro pazienti. Il medico non deve fare il burocrate, deve fare il medico. Finita questa emergenza, nulla dovrà essere come prima. Non ci credo poi molto. Ma almeno questa ultima cosa è da pretendere.